Aquilino Gioielli

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Diciamolo francamente. A firmare quasi sempre le tappe più significative che hanno contrassegnato, fin dagli esordi, la prestigiosa “escalation” degli Aquilino è stato il capostipite Francesco, che a sedici anni, nel 1860, anno dell’impresa garibaldina che portò all’unità d’Italia – debutta con l’arte orafa a Castellana che, a quei tempi, ricordiamo, non aveva ancora assunto l’attuale denominazione “CastellanaGrotte”.Cosa che avvenne nel 1950, in seguito alla scoperta, nel gennaio del 1938, delle famose grotte per iniziativa del prof. Franco Anelli, coadiuvato da VitoMatarrese.
È dunque, nel 1860, che il giovanissimo Francesco Aquilino apre una bottega orafa nel cuore del centro storico di Castellana, una bottega che ben presto diventerà punto di riferimento per tanti clienti chemirano ad assicurarsi oggetti preziosi che abbiano il valore aggiunto dell’inconfondibile soffio dell’arte.
Ad un certo punto, l’attività del solerte Francesco registra una svolta familiare. Si arricchisce, cioè, dell’apporto dei figli Peppino e Ciccio, ai quali il capostipite passerà il timone solo dopo aver vagliato le loro indubbie capacità professionali. Insomma, il buon nome viene difeso e consolidato con l’immissione di nuova linfa nel grande alveo paterno, che fa perno sull’impegno, ma soprattutto sulla fantasia estrosa dei nuovi affluenti.
E così, Peppino, ancora giovanissimo, viene spedito dal solerte genitore a Bari per frequentare un corso di addestramento presso unmaestro-doc, l’artigiano “donTeobaldo Stera”;mentre il fratello Ciccio approfondisce i suoi interessi nel variegato settore degli orologi, acquisendo notevole professionalità e competenza. A quell’epoca non esistevano per gli orologi ricambi distinti per calibri che, pertanto, venivano realizzati all’occorrenza.
Arriviamo così ai primi lustri del “secolo breve”. Nel 1910 Peppino e Ciccio, grazie alla competenza professionale e alla loro abilità in campo artigianale, estendono la loro attività nella sede di via Monopoli 4. In che modo? Affiancando al vecchio laboratorio un negozio per la vendita al dettaglio di articoli di oreficeria e orologeria.
Circa vent’anni dopo, esattamente nel 1927, a seguito dei crescenti e costanti successi della loro Ditta in territorio di Castellana, i due dioscuri pugliesi, che rispondono appunto al nome di Peppino e Ciccio, trasferiscono la sede originaria da via Monopoli in via SanVito 27. Qualchemalizioso conterraneo ebbe da ridire su questa scelta, sostenendo, con celia, che sarebbe stata determinata dalle particolari doti del Santo. Un santo considerato un taumaturgo al pari del patrono di Bari, San Nicola, e, quindi, in grado di offrire soluzionimiracolose anche nei casi più disperati. Sotto la vigile protezione di San Vito si giunge agli anni Trenta. E anche in quegli anni, nonostante il terremoto finanziario di Wall Street che polverizza anche le fortune più consolidate, continua l’“escalation” degli Aquilino. Competenza da una parte e fiducia dall’altra, accordata da una clientela in costante evoluzione, fanno sì che la Ditta si affermi oltre l’abituale ambito territoriale. Si rende così necessario ampliarne la sede, trasferendola al numero civico 46 della stessa viaNicola de Bellis, dove tutt’oggi è in piena attività.
Anni Quaranta. Esplode il secondo conflitto mondiale. Anche l’oro entra in guerra con il divieto di commercializzare metalli preziosi. Sia pure a malincuore, gli Aquilino sono costretti a fare buon viso a cattivo gioco. In parole povere, dal loro negozio scompare qualsiasi traccia aurea, tanto cara aReMida, e il suo posto viene occupato da una nuova serie di articoli che avrebbero fatto arricciare il naso almiticoRe della Frigia, ossia radio,macchine per cucire, motocicli e persino bombole del gas. Del passato restano solo gli orologi, gli unici a non essere colpiti dal diktat fascista. Ma la stirpeAquilino, “come torre che non crolla per il soffiar dei venti”, per dirla alla Dante, va avanti sia pure sotto tono e con altri settorimerceologici.Nel dicembre del ‘43 infuriano ancora gli ultimi venti di guerra, una guerra che, purtroppo, ha messo in ginocchio l’Italia, rendendo poveri gli eredi degli ultimi aristocratici, e immiserendo consolidate fortune dell’operosa e solerte borghesia, dando vita nel contempo ad una classe di nuovi ricchi. Questi ultimi, spesso riescono a conquistare la ribalta economica.
Comunque, in simile sfacelo, nonmanca chi tira diritto per la sua strada, senza compromessi di sorta, cercando di sbarcare il lunario alla men peggio. Uno di questi è l’orologiaio e gioielliere Francesco Aquilino – “Ciccillo”, come lo chiamano in famiglia – primogenito di quattro fratelli, che ogni giorno, sin dalle prime ore dell’alba, cessato il coprifuoco, si mette in moto, passando al setaccio paesi, contrade e masserie. Lo fa a bordo di una traballante “sciarretta”, un modesto calesse, all’affannosa ricerca di clienti che possano acquistare a poco prezzo non più oggettini d’oro (perché l’oro, in base alle disposizioni di Mussolini, bisogna donarlo alla Patria) ma sveglie.
Sveglie? Sì, proprio loro. Tonde, quadrate o rettangolari, non sono per nulla pretenziose. Abbisognano solo di una carica quotidiana per emettere uno squillante trillo all’ora prestabilita. Al pari del canto del gallo, spesso alle prime luci dell’alba, svegliano tutta la famiglia, e talvolta anche il vicinato, perché la giornata cominci sotto i migliori auspici. Siamo in guerra e la gente non ha soldi. E quei pochi spiccioli a disposizione servono per procurarsi soprattutto generi alimentari. Quasi sempre al mercato nero. Pertanto, chi acquista una sveglia, lo fa dando in cambio dell’oro vecchio. “Ciccillo” non ha alternative, di fronte a quegli insoliti pagamenti…metallici, è costretto ad accettare il baratto. Insomma, non ha altre vie d’uscita.Menomale che di tanto in tanto spunta un cliente più danaroso, che dispone di soldi in contanti grazie ad oculati risparmi. Il che consente a “Ciccillo” di assicurare un tozzo di pane alla famiglia, contribuendo, nel contempo, a dare ossigeno al bilancio domestico – insieme a papà Peppino, allo zio Ciccio ed al fratello Santino, che continua a condurre il negozio di viaDe Bellis. Comunque, il ritorno alla normalità è ormai alle porte, il peggio della buriana bellica sembra passato quasi del tutto.Ma il sereno arriva non senza traumi: l’Italia firma l’armistizio e gli Alleati prendono il posto dei tedeschi, gli ex compagni di cordata, con altri inevitabili spargimenti di sangue.
La guerra dunque continua, questa volta tra partigiani e truppe alemanne. E quando cessano del tutto le ostilità, “Ciccillo” tira un sospiro di sollievo e può fare finalmente i conti. Tutto sommato, non è poi andata tanto male. Si ritrova in tasca, infatti, un bel gruzzoletto d’oro vecchio, e non “am-lire” che valgono carta straccia. E tutto ciò grazie a quegli spezzoni aurei. Con i quali riesce a rimettere in piedi il patrimonio familiare, azzerato fino all’osso dai disastrosi eventi bellici. A questo punto è doveroso dare la parola ad una testimone d’eccezione, ossia la vedova di “Ciccillo”, la signora Rosa Bellizzi, che oggi conta 85 primavere.
Lucida e scattante come una ragazzina di primo pelo, la nostra interlocutrice sgrana il rosario dei ricordi, senza battere ciglio e senza tentennamenti di sorta. “Quando andava in giro con la ‘sciarretta’ – esordisce donna Rosa – Ciccillo non era ancora entrato nella mia vita. L’ho conosciuto in tempi successivi, quando cominciò a percorrere in lungo e in largo l’Italia centrale e meridionale con due grosse valigie colme di oggetti preziosi.
E non disdegnava contatti di collaborazione con colleghi delle altre Regioni, creando ulteriori occasioni di guadagno. “Era un uomo eccezionale, solare, generoso al massimo. E anche accorto e prudente. Tanto è vero che, pur andando in giro con quel ben diDio, non hamai subito rapine o scippi, forse grazie alle tante precauzioni che poneva in essere. “I tempi erano piuttosto duri e difficili,ma il suo lavoro andava avanti con tutta tranquillità. E in virtù di quel diuturno impegno, lavorando da mane a sera, Ciccillo cominciò a risalire pian piano la china. Faticava sodo: le uniche sue compagne di viaggio erano quelle inseparabili due valigie. E, risparmio dopo risparmio, riuscì a raggranellare una cospicua somma che gli consentì di acquistare delle proprietà, soprattutto case e terreni, per rimpinguare il patrimonio familiare. Il risultato fu, a dir poco, sorprendente e foriero di ulteriori soddisfacenti traguardi”. In parole povere, con il suo “savoir faire” riuscì a dare una valida mano per rimettere in sesto l’azienda familiare, assicurandole una non indifferente solidità economica. È sempre Donna Rosa a dipanare la matassa del passato, soffermandosi questa volta sull’evento più importante della sua umana avventura: le nozze con l’uomo dei suoi sogni: Ciccillo Aquilino.
Accadeva il 21 ottobre del ‘44. “Eravamo in piena guerra, la mia famiglia era sfollata a Castellana, paese natale di mio marito. Una volta cessata la sortita bellica, decidemmo di trasferirci a Bari. E, una volta nella città di San Nicola, adocchiammo un bel negozio in una zona centrale, precisamente in corso Vittorio Emanuele 87. Fu amore a prima vista. E Ciccillo suggerì ai familiari di rilevare quel locale che, fino ad allora, era appartenuto all’orologiaioTeobaldo Stera, il maestro di Peppino”. Teobaldo pretese, vita natural durante, che non venisse rimosso il banchetto da orologiaio dove, fino ad allora aveva riparato una lunghissima serie di segnatempo. Si tenne senz’altro fede alla promessa, ma nel contempo si cominciò ad ampliare il ventaglio dell’offerta: accanto agli orologi vennero infatti esposti gioielli, oggettini d’oro e argenti. In breve tempo si riuscì ad attrarre una clientela vasta e numerosa. Grazie anche, e soprattutto, all’apporto della moglie Rosa che, oltre ad accogliere i clienti in un clima di serena e festosa familiarità, sapeva individuarne i gusti e, quindi, in grado di consigliarli negli acquisti, venendo incontro alle loro specifiche esigenze, e anche in rapporto alle loro disponibilità finanziarie.
Nel 1956, un’altra storica svolta. Da una parte “Ciccillo” prosegue da solo l’attività in corso Vittorio Emanuele, angolo Largo Chiurlia (a quei tempi, largo Santa Barbara); gli altri tre fratelli – Santino, Pierino e Mario – danno il via ad un nuovo negozio a Bari. Quel comune cammino che fino ad allora aveva contrassegnato l’ascesa della famiglia Aquilino, si interrompe. Dal canto suo Pino, figlio di “Ciccillo”, punta i suoi interessi sulla specializzazione. Per questo non esita un attimo, una volta conseguita la licenza media, nel 1959, a fare le valigie per raggiungere Valenza Po e rimanervi per quattro anni. A Valenza frequenta il prestigioso Istituto professionale di oreficeria intitolato a Benvenuto Cellini, l’insigne scultore del Cinquecento, famoso, come noto, per una saliera d’oro – un vero “monumento da tavola” – realizzata per il re di Francia, Francesco I, ed oggi conservata nel “Kusthstorischoes Museum” di Vienna. Ma l’appetito, come recita un antico adagio, vien mangiando e Pino, tra le materie di studio all’Istituto professionale, s’imbatte anche nella gemmologia, per la quale prende una vera e propria cotta; una cotta alimentata dalla professoressa SperanzaCavenago Bignami Moneta, esperta di fama internazionale. Tanto è vero che oggi i migliori gemmologi italiani sfoggiano un comune denominatore: sono stati tutti allievi della “prof.” in questione.
Nel ‘63, conclusa l’esperienza aValenza, Pino ritorna a Bari con un doppio diploma: incastonatore orafo e gemmologo. Ragion per cui, dopo una breve sosta di appena un mese nella vecchia sede di CorsoVittorio Emanuele, decide di prendere nuovamente il largo, approdando in via Putignani, angolo Andrea da Bari. Si specializza in argenteria antica e in gioielleria antica e moderna. Per gli approvvigionamenti di antiquariato si reca sovente a Londra dove acquista di tutto, argenti, orologi ed anche quadri e piccoli mobili. Con il sorprendente risultato che, talvolta, anche a sua insaputa, gli capitano retaggi del passato d’alto lignaggio. Ne abbiamo una riprova nella nuova (e forse definitiva!) sede di via Sparano,dove si fanno ammirare tentazioni d’altri tempi, come un raro e prezioso orologio “boulle” del 1600 conmovimento a catena e di grandi dimensioni, oppure una specchiera ottocentesca in legno intarsiato e finita a foglia oro, che attraggono i visitatori, i quali tentano una timida trattativa, ma puntuale giunge la lapidaria risposta del titolare: “Mi spiace, questa merce non è in vendita”. Accattivanti tentazioni del passato che, spesso, Pino porta in mostra, alla Fiera del Levante, nelle edizioni che vanno dal ’63 al ’67.
A fine ’67, animato dalla voglia di dare una marcia in più all’azienda, in piena armonia con il papà Ciccillo, il dinamico rampollo decide di unificare la sede di corso Vittorio Emanuele e la “nuova” di via Putignani, in una “location” più prestigiosa, precisamente in via Sparano 29. Sede che viene inaugurata nel febbraio 1968 e della quale, tutt’oggi, Pino è il titolare.
Grazie all’esperienza acquisita durante i suoi studi a Valenza, nel ‘69 l’effervescente gioielliere crea una collezione di anelli “a solitario” e con un estroso esemplare prende parte al Concorso Italiano per Artisti del Gioiello, ricevendo un ambito riconoscimento. Cinque anni dopo partecipa ad “Aurea 74”, mostra mercato dell’arte orafa, al Palazzo Strozzi di Firenze. Nel solco delle “esternazioni “della ditta Aquilino, vi è anche una scultura in argento raffigurante i trulli di Alberobello che l’allora Presidente della Regione Puglia, Nicola Quarta, offrì nel 1980 a Papa Giovanni Paolo II in occasione della visita del Pontefice ad Otranto.
E sempre proseguendo nell’alveo delle esternazioni, va citata la raffinata manifestazione, promossa da Pino e Lora in occasione del restauro della “Masseria Jaia”, in agro diConversano, (all’epoca di proprietà degli Aquilino) ritornata al vecchio splendore grazie ad un accurato maquillage. Madrina dellamanifestazione, tutta incentrata su una collezione d’avanguardia denominata “Gioielli inMasseria”, fuMara Venier che, al microfono, si diffuse ampiamente sulla fantasia creativa di quei preziosi,mentre le indossatrici sfilavano sul bordo della piscina illuminata a giorno.
In quegli stessi anni Pino si associa alla Confcommercio e, nel giro di poco tempo, dopo essere stato componente del Direttivo diviene il presidente degli orafi della provincia di Bari. E sempre continuando nel percorso sindacale, che lo vede protagonista sulla scena nazionale dove per quasi due lustri è vice presidente, nel settembre 2009 viene eletto presidente della Federazione Nazionale Dettaglianti Orafi, l’organizzazione di rappresentanza del settore in ambito Confcommercio.
Nel novembre 2009, viene nominato socio onorario dell’Università e Nobil Collegio degli Orefici, Gioiellieri, Argentieri dell’Alma città di Roma. Sodalizio tra i più prestigiosi del settore, erede delle antiche corporazioni orafe medioevali della capitale, è punto di riferimento nello sviluppo dell’attività orafo-argentiera. Nella prestigiosa sede di via Sparano collaborano sin dal ‘72, la moglie Lora e, dal ’94, la figlia Antonella e infine Rossella; quest’ultima, dopo aver conseguito la laurea in Economia e Commercio. Antonella – va precisato – ha seguito lo stesso percorso paterno. A cominciare da Valenza, dove frequenta l’Istituto Benvenuto Cellini, diventato nel frattempo Istituto d’Arte; anni di studio intenso dai quali emerge la vena creativa della secondogenita di Pino, tanto da divenire in breve tempo una apprezzata designer. Sempre in quel diValenza, lungo le rive del Po, per cinque anni segue un corso di specializzazione in gemmologia, conseguendo il diploma di analista gemmologa. Ma…non è finita. Presa da un inesauribile desiderio di accrescere la propria cultura nel settore orafo, nei ritagli di tempo affina la propria manualità e acquista maggior esperienza affiancando un noto produttore valenzano nel suo prestigioso laboratorio orafo.
Attualmente, Rossella, anche lei diventata nel frattempo esperta gemmologa, ed Antonella conducono, in perfetta sintonia con il papà, la gioielleria di via Sparano, con successo e gradimento della clientela. Che apprezza particolarmente la presenza femminile, e per di più competente, da cui riceve, sulla scia di nonna Rosa, oculati consigli nella scelta del gioiello. Rossella – va precisato – ha il dono della concretezza. “È vero – afferma – che noi vendiamo oggetti appartenenti all’universo del superfluo,ma è anche vero che tali oggetti riescono a rendere più sereno, più lieve e accettabile il tran-tran esistenziale, a darci un lembo di gioia, uno squarcio di spensieratezza in una vita spesso dominata da rinunce e sacrifici”. Insomma, Rossella segue più o meno il pensiero di Gabriele D’Annunzio. “Sono un animale di lusso” – scrive un giorno ilVate all’editore del “Piacere” che gli rimproverava le continue richieste di denaro. E soggiunge: “Ho per temperamento, il bisogno del superfluo. L’ educazione delmio spiritomi trascina irresistibilmente al desiderio e all’acquisto delle cose belle. Avrei potuto benissimo vivere in una casa modesta. Invece, fatalmente, ho voluto divani, stoffe preziose, tappeti di Persia, bronzi, avori, tutte quelle cose inutili e belle che io amo con una passione profonda e rovinosa”. “Io – incalza Rossella – non faccio altro che solleticare questi desideri nascosti, farli venir fuori, e consigliare l’oggetto che meglio possa soddisfare queste recondite pulsioni. Come può essere, ad esempio, una collana con pietre semipreziose di diversi colori, oppure un anello con un topazio o uno zaffiro, oppure due orecchini di diamanti che illuminino il viso”. In altri termini, la primogenita di Pino può essere paragonata ad una maxi-banca dati, dove sono incasellate le varie abitudini delle clienti, le loro diverse inclinazioni, e anche le loro avversioni per questo o quel colore. A volte sono le loro preferenze per un determinato oggetto del desiderio ad avere la meglio. Ma spesso riesce a suggerire una proposta alternativa. E i mariti, non sono un’altra difficile incognita? Pronta la sua risposta: “La mia banca dati comprende anche i loro gusti”.
Rossella, ripetiamo, è la concretezza personificata. Tanto da curare anche l’amministrazione dell’azienda e i rapporti con i fornitori, agevolata dall’esperienza universitaria, avendo conseguito come si è detto, la laurea in economia e commercio, compresi i masters. Comunque i suoi impegni lavorativi non le hanno impedito di crearsi una famiglia. Ha infatti due pargoli: Luca e Federica. Il primo è il ritratto in sedicesimo del nonno; la piccola, un’autentica peste, che con la sua prorompente esuberanza, acuita da improvvisi capricci, dà filo da torcere al fratellino. Su tutt’altro fronte, milita Antonella, la creativa di famiglia, che nel suo dna riflette tutte le doti paterne. Ne è una riprova, tra i tanti in passerella nella gioielleria di via Sparano, un singolare anello che colpisce per il suo estroso e fantasioso design, e anche per l’accurata esecuzione che ne fa un’autentica opera d’arte.
A vederlo, di primo acchito, ha le sembianze di un granchio il cui corpo centrale è formato da una maxi-perla nera haitiana, cui fanno corona una ridda di chele, tutte impreziosite da diamanti color cognac e diamanti neri.Ma l’estro di Antonella non si ferma qui, manifestandosi in una ricca e variegata gamma di oggetti del desiderio che fanno sognare ad occhi aperti l’altra metà del cielo. Il suo punto di forza è la creatività, che è libertà di ricercare, di scegliere, di viaggiare con la fantasia. Per il gioiello, in particolare, è espressione di una beltà che nasce da esistenziali esperienze quotidiane. Spesso è nella routine che si nasconde l’armonia. Ed è proprio lì che l’estrosa designer va a caccia di nuovi spunti, di nuovi stimoli, di sensazioni inedite. Ma come è cadenzato il suo lavoro? Meticolosa al massimo, una volta ultimato il design, Antonella segue personalmente ogni fase della lavorazione. È nel laboratorio che le sue idee prendono corpo grazie ad un’accurata esecuzione che dà vita e forma alla sua creatività. La passione per le pietre preziose e non, i loro riflessi, i loro colori, la loro magia sono scintille che le offrono il là, mettendo in moto estro e fantasia. Sempre alla ricerca di nuove seduzioni, non si concede un attimo di tregua, e così, navigando anche attraverso perigliosi pelaghi, approda nel fascinoso mondo delle perle. Perle barocche o perfettamente sferiche, opalescenti nelle “nuances” dell’arcobaleno, sfoggiano tutte quel nonsochè dimarino che incanta. “Le ho visto sott’acqua ai tropici – incalza il papà Pino – o appena pescate, le ho ammirate alle aste in giro per il mondo”. E proprio questa gioia intima, arcana, che Antonella riesce a catturare ed ad esprimere in numerose creazioni dove le perle giocano a rimpiattino con inserti in oro e diamanti. Insomma, non sono lì solo per farsi ammirare,ma per stregare l’inclito e l’incolto.
Creatività a parte, l’abilità di Antonella risiede anche nella cura e nella realizzazione che fanno di ogni singolo pezzo una preziosa opera d’arte, un “oggetto del desiderio” che spesso manda in tilt non solo l’altra metà del cielo. E così, oggi, una volta assaporate le grazie ammalianti di un design d’avanguardia, la nostra effervescente designer tende a spogliarsi sempre di più di ogni sovrastruttura passatista per puntare ad un approdo di estrema pulizia mentale. Le fanno sovente compagnia, insieme con ilmetallo tanto caro a ReMida, pietre non solo preziose, pietre dai colori vividi e smaglianti, che fecero la loro comparsa quando lei muoveva i primi passi nel mondo della creatività. Pietre che sembrano perdere giorno dopo giorno ogni consistenza corporea, per assumere le sembianze di unametafora esistenziale: quella di una creativa “tout court” dei nostri giorni.
Che vuole fuggire da luoghi contaminati e toccare vette purissime, accessibili solo a chi ha uno speciale “passepartout”, che si chiama arte. E Francesca? Lei , terzogenita di Pino e Lora, è quella che – come si usa dire – è andata fuori dal seminato, al pari dell’anatroccolo della famosa favola di Andersen. A differenza delle sorelle, dunque, ha preferito prendere il largo per affermare la sua personalità all’estero. E così, sempre con la valigia a portata di mano, non ha esitato un attimo a raggiungere dapprimaMilano, dove si è laureata all’Università Bocconi in Economia e Commercio. E poi Parigi. E qui, nella “città dalle mille feste” si è fatta apprezzare per la sua creatività nel marketing dei prodotti finanziari.Ma Francesca, pur non avendo l’uzzolo del commercio, si è rivelata, sia pure inconsapevolmente, un’ottima ambasciatrice dei gioielli Aquilino. In che modo?
Indossando le creazioni di Antonella nelle sue frequenti incursioni all’estero, non ha fatto altro che suscitare entusiastici consensi e, in concreto, collezionare ordinazioni a destra e amanca. Da precisare che la maggior parte dei preziosi, facenti parte della collezione Aquilino in via Sparano, viene prodotta, con orgoglio, su disegno esclusivo di questo atelier e reca incastonate le gemme preziose che sia Pino che le figlie ricercano ed acquistano in Italia e all’estero, dalle Alpi al lontano Oriente. Tutto ciò al fine di proporre gioielli personalissimi, in linea con gli ultimi dettami della moda. Ed ora cosa c’è dietro l’angolo? Il discendente della stirpe Aquilino – Pino, per la precisione – con la moglie Lora e con le figlie Rossella, Antonella e Francesca, che oggi rappresentano la quinta generazione, ha deciso di festeggiare il glorioso traguardo dei 150 anni.Ovviamente, in linea con il tracciato avviato dai loro
predecessori, che hanno sempre puntato i loro obiettivi su tre pietre miliari: professionalità, competenza e serietà. In particolare, Rossella e Antonella, con le loro capacità professionali, non disgiunte da estro e fantasia creativa, assicurano continuità ad una stirpe che ha emesso i primi vagiti un secolo e mezzo fa, dando vita ad una encomiabile “storia preziosa”. Che all’orizzonte già vede spuntare i virgulti della sesta generazione. Ad esempio, Luca, figlio di Rossella, già siede incuriosito dietro una netta sua inclinazione per l’arte orafa. Insomma, il futuro è più che assicurato alla dinastia degli Aquilino, se si pensa che accanto a Luca, come vendeuse, può già candidarsi la piccola Federica, secondogenita di Rossella.

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